Un’impresa intelligente è un’organizzazione in grado di raggiungere una governance sostenibile, un’azienda cioè capace di superare la logica data-driven e di integrare in tempo reale informazioni e risorse umane per orientare lo sviluppo del business verso le esigenze degli stakeholder e dell’ecosistema che li ospita. Più facile a dirsi che a farsi, potranno pensare molti. Ma la verità è che oggi le tecnologie e le metodologie per intraprendere con successo questa trasformazione ci sono. Bisogna “solo” modularle perché le persone le adottino e ne traggano il maggior beneficio possibile. Non si parla nemmeno più di tecnologie, ma di soluzioni end-to-end per specifici ruoli aziendali.
Colmare il divario tra tecnologie e persone
Il concetto di impresa intelligente nasce nel 1992 e oggi sta semplicemente vivendo una seconda giovinezza. Questo perché il digitale è molto più pervasivo di una volta, sia perché diversi processi aziendali sono nel frattempo maturati, sia perché è cresciuta la consapevolezza dei manager rispetto a questo ambito. Non si possono poi sottovalutare alcuni fattori esogeni – tra cui spicca l’emergenza Covid – che ci hanno dimostrato come le situazioni di incertezza possano essere determinanti nello stimolare la ricerca di nuovi assetti, portando le aziende a ripensare i classici modelli gerarchici e a vedere i processi in senso orizzontale.
Questo significa anche non ragionare più per singolo dipartimento, ma prendere in considerazione i processi nella loro interezza e valorizzare allo stesso tempo linee di business e specifiche professionalità coinvolte. In altre parole, una Intelligent Enterprise è in grado di sfruttare i dati per gestire filiere sempre più complesse, come quelle che sottendono al customer journey, al sales-to-cash, e al demand-to-supply, aiutando le varie figure aziendali a sprigionare il massimo potenziale da ciascuno dei propri task e sviluppando una visuale sempre più estesa sulla catena del valore. Il tutto all’interno di un sistema integrato, collaborativo e interconnesso che, senza soluzione di continuità parta dalla pianificazione e arrivi alla rendicontazione.
C’è però un limite: le tecnologie sono esponenziali, mentre le persone sono logaritmiche e tendono ad appiattirsi dopo l’esaurirsi di una disruption. Noi di Altea UP ci siamo posti l’obiettivo di riempire lo spazio tra esponenzialità e logaritmicità, indicando ai clienti le opportunità da cogliere e i percorsi da seguire per massimizzarne il valore nel tempo.
Un approccio umano alla trasformazione digitale e alla sostenibilità
La metodologia adottata è la cosiddetta AVA (Accelerate Value Awareness). Ci confrontiamo con i C-level per capire qual è il loro mal di pancia e per indirizzare il problema a livello di network. Questo significa anche apportare un deciso contributo nella semplificazione dei processi, superare i silos informativi che contraddistinguono ancora i dipartimenti di molte aziende e integrare le attività usando come collante dell’organizzazione la sostenibilità. Non bisogna parlare di tecnologie, ma di processi estesi: è necessario allineare le soluzioni in portfolio ai temi e ai linguaggi dei nostri interlocutori attraverso un layer di consulenza.
Alla base della trasformazione, però, la tecnologia digitale c’è, ed è essenziale. I dati all’interno di un’impresa intelligente devono muoversi in real time, o meglio ancora, in right time. Grazie all’Hybrid Data Management e all’Artificial Intelligence oggi non ci sono più vincoli rispetto all’accessibilità dei dati, a prescindere da dove risiedano, on premise o nei vari cloud, e questo va incontro a un bisogno ormai imprescindibile dell’utente medio: quello di poter disporre delle informazioni di cui necessita rapidamente e in maniera fluida. Gli smartphone ci hanno abituato a ricevere risposte immediate ovunque ci troviamo: non è possibile recarsi in ufficio e rimanere un quarto d’ora in attesa di un report sulle vendite.
Come accennato, la metodologia AVA adottata da Altea UP si innesta su un assunto ben preciso: lo sviluppo di un’azienda non si basa solo su KPI economici, ma deve tenere conto del fattore umano e, più in generale, della sostenibilità delle attività di business, instaurando un loop virtuoso tra esseri umani, indicatori economici e ambiente. Anche la Corporate Social Responsibility diventa in questo modo un processo che va gestito in modalità end-to-end, coinvolgendo fornitori e dipendenti per sviluppare una visione dell’organizzazione a 360 gradi all’interno dell’ecosistema in cui opera.
La grande sfida è riuscire a proiettare in questo scenario anche le PMI, che soprattutto in un Paese come l’Italia rischiano di rimanere ai margini della digital transformation e della green economy. Estendere il concetto di impresa intelligente anche alle organizzazioni meno strutturate e democratizzare le tecnologie che solitamente sono appannaggio esclusivo dei grandi investitori vuol dire industrializzare soluzioni orizzontali che risultino accessibili – tecnologicamente ed economicamente – a qualsiasi tipo di azienda.
Per questo Altea Federation ha attivato una partnership con la Regione Puglia e con l’Università del Salento che ha l’obiettivo specifico di superare la soglia del taylor made anche quando si parla di digitalizzazione di processi molto verticalizzati. Il progetto si chiama IeS Factory, acronimo di Intelligente e Sostenibile. Puntiamo a creare un experience center, con un percorso esperienziale a cavallo tra fisico e virtuale che consentirà alle imprese di partire dalle idee sviluppate in laboratorio e arrivare a toccare con mano le soluzioni messe a loro disposizione. Ci saranno esempi di linee produttive concepite secondo la logica del 4.0, visori per la realtà aumentata dedicati all’asset management, digital boardrooms per gestire i board meetings in maniera del tutto innovativa, il tutto con un approccio estremamente pragmatico, veicolato attraverso i canali comunicativi che utilizzano i C-level. Che – è bene ricordarlo – di mestiere non fanno gli informatici, ma i Manager.
Fonte: Digital4Executive – Network Digital360 leggi l’articolo